Intervista a Danijel Zezelj | Speciale Napoli Comicon
Ciao Danijel e benvenuto su Comics Authority, prima volta qui al Comicon di Napoli? Non in Italia di sicuro perché so che hai già lavorato per il fumetto italiano in passato.
Grazie mille! No in realtà l’ultima volta che sono stato ad un Comicon, il festival si teneva ancora a Castel Sant’Elmo ma adesso non riesco a ricordare esattamente che anno fosse l’ultima volta che vi ho partecipato.
Sei un’artista riconosciuto a livello globale e un fumettista di lungo corso, tuttavia con Days of Hate ti riavvicini dopo diverso tempo ad un pubblico, quello di Image Comics di cui Eris Edizioni che ha curato l’edizione italiana, che è sicuramente più generalista rispetto al passato e che quindi magari non ti conosce così bene come altri tuoi lettori. Motivo per cui parlaci un po’ di te, di come hai iniziato la tua carriera da fumettista.
Beh, il mio primo contatto con il fumetto è stato proprio qui in Italia con lo storico editore Edizione del Grifo, durante gli anni novanta. All’epoca Del Grifo produceva un magazine e pubblicava collateralmente una serie di graphic novel. Non ricordo esattamente quante, ma penso che tutte assieme siano circa 7 le graphic novel che ho realizzato insieme a loro. Questa rappresenta una breve ma importante parentesi con cui è iniziata la mia carriera durante la quale ho vissuto in Italia a Montepulciano. Dopochè mi sono trasferito, ho vissuto e vivo ancora da molti anni negli Stati Uniti, tra Seattle e New York. In questo periodo ho cominciato a lavorare per alcuni grandi editori americani DC, Marvel, Vertigo, Dark Horse. A queste collaborazioni ho intervallato altri lavori sempre con alcuni editori italiani e infine eccomi qui con Eris Edizioni, editore che ha pubblicato anche gli ultimi lavori che ho realizzato: Days of Hate, Babylon, Cappuccetto Rosso.
Invece il passaggio da un grande editore americano a pubblicazioni diciamo così più indipendenti, come è stato vissuto da te?
In realtà la maggior parte dei miei lavori è sempre stata scritta ed illustrata da me. Il passaggio è stato piuttosto da un area più indipendente ad una serie di pubblicazioni a più larga diffusioni. Diciamo che io non sono mai stato particolarmente entusiasta di lavorare per questi grandi editori, o almeno non è quello a cui ambivo inizialmente. Questo prima che mi trasferissi negli States, dove fortunatamente all’epoca alcuni editor della DC erano aperti anche ad artisti con un stile diverso come il mio, diverso soprattutto da quello che veniva mensilmente pubblicato nei fumetti mainstream. Allo stesso modo, Vertigo proprio in quel momento stava portando nuovi autori e scrittori nei fumetti per cui è stata senza dubbio una grandissima opportunità ed esperienza per me lavorare a un media mainstream come quelli. Posso dire di aver lavorato con persone davvero molto in gamba come Brain Azzarello, Brain Wood e anche alcuni con Marvel. Il lavoro più recente che ho fatto per un editore americano è come hai già detto Days of Hate che è scritto da Ales Kot.

Hai menzionato il fatto di come sia cambiato il mercato del fumetto, in che senso pensi sia cambiato rispetto a quando hai iniziato tu? Anche come opportunità che oggi vengono offerte ad un ipotetico artista che vuole esportare il proprio lavoro in America.
Personalmente penso che durante gli anni ’90 quando stavo iniziando a lavorare per DC, credo fosse metà degli anni novanta, c’erano veramente pochi autori non-americani nell’industria. Questo perché gli editori americani erano particolarmente chiusi ad autori stranieri ma la difficoltà più grande era comunque rappresentata dalla portata che potevi offrire al tuo lavoro, perché a quel tempo dovevi avere la possibilità di mandare fisicamente il tuo lavoro da una parte all’altra del mondo perché qualcuno lo vedesse e valutasse l’opportunità di farti lavorare. Successivamente con l’avvento di Internet è cambiato tutto infatti adesso abbiamo artisti da tutto il mondo che lavorano per editori di tutto il mondo semplicemente perché è cambiato il modo in cui siamo interconnessi gli uni agli altri. Penso che questo sia necessariamente un bene per autori, artisti e scrittori perché rende di sicuro più semplice farsi notare dagli editori. Per un altro verso questo ha anche ovviamente ripercussioni negative perché ora sembra tutto orientato verso i videogame che sembrano avere un grande seguito su internet e non solo. Questo sembra che stia lentamente cambiando la natura dei fumetti per portarli in quella direzione.
Ok, quindi pensi che gli editori di fumetti, almeno quelli mainstream, stiano strizzando l’occhio a videogiocatori per guadagnare nuovo pubblico?
Beh, questa è una mia opinione, ma penso che al momento i videogame stiano letteralmente dominando l’industria, persino l’industria cinematografia sembra stare subendo la medesima influenza proprio perché quello videoludico sembra essere il mercato più grande al momento. Ma a prescindere da questo è anche vero che ci sono sempre stati progetti “sbagliati” sul nascere a prescindere da quello che poteva essere considerato popolare al momento.
Sempre relativamente a questa faccenda dei social media e del farsi notare, stavo parlando proprio ieri con Declan Shalvey di come questi abbiano permesso di raggiungere più velocemente chi potesse valutare il lavoro di un artista e Declan mi stava facendo notare come questo però abbia anche un rovescio della medaglia, perché tramite internet puoi giudicare il lavoro di qualcuno solo sulla base di ciò che questi decide di mostrarti e non sempre quello che sembra essere un bravo illustratore poi si rivela un altrettanto capace narratore di fumetti. Cosa ne pensi tu di questo aspetto dei social media e quali pensi siano gli aspetti su cui un giovane dovrebbe insistere per mostrarsi capace e convincere un editor delle proprie capacità?
Questo è indubbiamente difficile perché dipende sempre molto dalla persona che hai di fronte, dall’editor che giudica il tuo lavoro. Io per esempio sono stato molto fortunato perché come ti dicevo nel momento in cui ho cominciato ad inviare i miei lavori in America, alla DC, Axel Alonso rivestiva il ruolo di editor e lui era una persona che ha sempre voluto portare nuovi artisti nel mercato fumettistico, specialmente artisti non americani. Molti dal Sud America, dall’Europa cominciarono proprio grazie a lui. Un esempio che mi viene in mente è il bravissimo Eduardo Risso, che iniziò a lavorare per il fumetto americano proprio grazie ad Alonso. Si tratta solo di un esempio ma rende bene l’idea perché era un editor curioso e fortemente motivato a portare nuovi artisti nell’industria. Per cui come dicevo, dipende molto da chi giudica il tuo lavoro. Invece quello che mi sento di dire è che le nuove leve possono e dovrebbero cercare i loro canali per poter promuovere il loro lavoro, il che significa anche non dover passare per forza attraverso uno di questi grandi editori all’inizio. Bisogna cercare la propria strada per arrivare al proprio pubblico e se riesci a fare in modo che questi comincino a seguirti puoi anche fare a meno di questi grandi editori. Non sto dicendo che sia facile, anzi è un compito difficilissimo come tante altre cose, ma almeno oggi giorno hai tante possibilità che non esistevano dieci anni fa per promuovere per il tuo lavoro.
Riagganciandomi a questo concetto di “trovare la propria strada”, tu nella tua carriera ti sei approcciato a tanti media, anche molto diversi fra di loro: hai fatto fumetti, illustrazioni, grafica, animazione. Quale pensi sia la figura che meglio descrive Danijel Zezelj?
Decisamente i fumetti. Tutte queste cose che faccio e ho fatto nel corso degli anni sono sempre e comunque legate al concetto di fondo che è quello della narrazione per immagini. Questo è quello che veramente mi appassiona: raccontare storie tramite immagini. Ho iniziato facendo fumetti e questi rimarranno sempre la mia principale professione per cui sì decisamente l’autore di fumetti è quello che mi descrive meglio.
Tra le tante cose che hai fatto e che continui a fare ho visto che ci sono questi ‘live painting’, eventi in cui tu dipingi sul palco accompagnato da dei musicisti(ne trovate una marea su internet). Come ti è venuta questa idea per esempio?
Sono sempre stato un appassionato di musica anche se non ho mai saputo suonare nessuno strumento. Specialmente da giovane sono sempre stato molto influenzato dai gruppi punk e rock che seguivo e dalle performance live a cui ho assistito. Pur non sapendo suonare, sono sempre stato affascinato da questa energia pulsante che scaturiva dagli strumenti, così ho cominciato a pensare a come potessi unire queste due grandi passioni. Da qui è nata l’idea di unire in questi live painting, musica e pittura dal vivo in un unicum narrativo. Lo reputo tuttora un semplice esperimento nonostante, anche in questo caso, si tratti di narrativa tramite immagini. Delle volte si tratta di una serie di immagini, altre volte di un’immagine sola o comunque una sequenza di immagini che crei questa piccola storia.
Questo immagino ha anche molto a che fare con il processo creativo con cui lavori alle tue opere. È solo una mia interpretazione, ma sembra che molto spesso il modo in cui fluiscono le tue storie, il ritmo che imprimi alla narrazione sembra avere una certa affinità con una musica di sottofondo che accompagna tutto il fumetto.
Questo è molto vero, infatti si può giocare molto con il ritmo delle immagini e con il modo in cui componi una storia in modo molto simile a quello con cui ti approcci alla musica.
Infatti, e qui faccio riferimento alla tua ultima opera Days of Hate che sei qui per promuovere insieme ad Eris Edizioni, nel primo volume che tu ed Ales Kot avete realizzato c’è questo capitolo rsviluppato esclusivamente su tre vignette orizzontali, in una struttura che si ripete per tutta la durata del numero, li sembra proprio esserci una ritmicità di fondo simile al discorso che stavi facendo. Parlando invece in generale di Days of Hates come siete arrivati a collaborare tu e Ales Kot?
Ales molto tempo fa mi mandò un suo script ma sfortunatamente non abbiamo mai avuto modo di collaborare assieme fino a poco tempo fa. Nel mentre Ales ha scritto un sacco di cose diverse con tanti bravi artisti ed io ho sempre apprezzato molto il suo lavoro. Questo ci ha portato a tenerci in contatto e scambiarci e-mail perché abbiamo sempre voluto lavorare su un qualche progetto assieme. Alla fine, questo progetto è stato proprio Days of Hate in cui abbiamo deciso di affrontare l’attuale situazione sociopolitica in America. È stata senza dubbio una grande esperienza perché mi è sempre piaciuta la storia e questo genere di soggetti tendo sempre a sentirli molto vicini a me. Quell’episodio a cui fai riferimento tu che si svolge su tre vignette è stata un’idea di Ales, io avrei voluto sviluppare un intero capitolo in questo modo. È stato quasi un esperimento ma penso che abbia funzionato molto bene nel raccontare queste tre story-line dandogli un ritmo e una tensione molto particolari.
Molto cinematografica soprattutto come impostazione…
Si si assolutamente
Dai tuoi lavori precedenti sembra che tu decida di lavorare su progetti che hanno una precisa connotazione o in qualche modo all’intento dietro la storia. È stato così anche per Days of Hate?
Beh, assolutamente. Disegnare e realizzare un fumetto è processo molto lungo e che richiede sempre molte energie per cui cerco di lavorare sempre su progetti in cui sono fortemente coinvolto, interessato e che rappresentino qualcosa di importante per me. Sono sempre stato fortunato perché quando ho collaborato con altri autori è sempre stato con gente decisamente in gamba (Azzarello, Brain Wood) ed è sempre stato una grande esperienza, anche perché c’è sempre molto da imparare. Ogni script presenta le proprie sfide e le proprie difficoltà. Devi rispettare quello che c’è scritto e trovare allo stesso tempo il modo più appropriato per presentarlo.
Parlando di script, quanta voce in capitolo hai avuto nella realizzazione di Days of Hate. Erano molto stringenti le sceneggiature che ti inviava Ales Kot?
No in realtà non mi sento molto a mio agio con sceneggiature troppo dettagliate, troppo dense di particolari. Questo perché se ci sono troppi particolari tendo a bloccarmi. Quando leggo una sceneggiatura ho davvero bisogno di immaginarmi la scena a modo mio per poter creare la pagina di conseguenza. Solitamente quando ricevo sceneggiature con troppe informazioni chiedo agli scrittori di darmi meno input in modo da potermi sentire libero di creare. Troppi dettagli tendono a bloccarmi perché finisco col sentirmi condizionato dalla visione di qualcun’altro.
Attualmente stai lavorando su qualche progetto di cui puoi parlarci?
Ho appena finito di realizzare una mia graphic novel ispirata alla vita di Van Gogh. L’ho finita proprio di recente per cui non so ancora bene quando sarà pubblicata. Ho iniziato a lavorare su un altro mio progetto personale, sempre una graphic novel, mentre quest’estate sarò concentrato su un’altra graphic novel questa volta basata su di un videogame e questa credo mi occuperà per un bel po’ di tempo.
Grazie mille per il tuo tempo Danijel è stato un piacere conoscerti. Alla prossima!
Grazie mille a te!
