Sherlock Frankenstein & La Legione del Male | Recensione
Come ci racconta lo stesso Jeff Lemire durante l’incontro svoltosi a Milano a inizio della scorsa settimana, sul finire del secondo story-arc di Black Hammer il ritmo di lavoro di Dean Ormston ha subito una serie di bruschi rallentamenti. Jeff si è quindi ritrovato a dover scrivere uno spin-off, ovviamente collaborando con un altro disegnatore, per guadagnare del tempo e attendere che Ormston si fosse ristabilito. Da qui la genesi del volume di cui parliamo oggi: Sherlock Frankenstein & The Legion of Evil.
La miniserie narra – come suggerisce ovviamente il titolo – delle vicende di Sherlock Frankenstein, per decenni nemesi principale degli eroi di Spiral City. Non un nuovo personaggio quindi (tant’è che lo abbiamo visto in una comparsata nel numero due della serie originale) ma un rimaneggiamento in corso d’opera di un personaggio già inserito nell’universo di Black Hammer. Ovviamente scritta da Jeff Lemire e disegnata dal talento in ascesa di David Rubin, quella di Sherlock Frankenstein può sembrare all’apparenza uno spin-off/filler, come ce ne sono tanti oggi giorno nell’industria del fumetto. Nulla potrebbe essere più sbagliato! Se inizialmente l’idea poteva essere quella, non si può negare come Sherlock Frankenstein abbia sostanzialmente fatto da apripista per quel cambiamento che a portato Black Hammer ad evolversi in un vero e proprio universo narrativo. Aprendo ad una miriade di possibilità che Jeff Lemire sta pian piano sviluppando. In questi giorni abbiamo infatti avuto modo di vedere come lo scrittore canadese sia rimasto profondamente ammaliato dalla possibilità di raccontare le proprie storie, ambientandole in un universo narrativo sotto il suo diretto controllo al punto che le collaborazioni con le major non son più una priorità per sceneggiatore.
Un bel cambiamento, persino per lo stesso Sherlock che è passato dall’aspetto mostruoso di un ghoul non morto a quello di un sofisticato e cinereo lord inglese. Dire che il volume è totalmente incentrato sulla figura di Sherlock, non sarebbe però del tutto corretto. Il protagonista di questo spin-off è infatti Lucy Weber, figlia del defunto Black Hammer, non arresasi all’idea di ritrovare i vecchi eroi di Spiral City. A riaccendere la speranza nella giovane è stato un certo James Robinson, ex-Doctor Star e protagonista del secondo spin-off della serie principale di Black Hammer. Quest’ultimo, chiaramente ispirato allo Starman di James Robinson, consegna alla giovane reporter la chiave del covo segreto di Black Hammer e figurativamente le chiavi del suo destino.
Rifiutandosi di distruggere l’eredità del padre e lasciarselo alle spalle, Lucy si dimostra da subito un personaggio con grande personalità e dal coraggio tipico degli eroi della Golden Age. La sua avventura la porterà quindi a investigare sulle sorti degli eroi di Spiral City e sulle sorti dei loro arci-nemici, in cima alla cui lista troviamo proprio Sherlock Frankenstein. Una trama tutto sommato semplice e lineare che serve più a dare profondità ai personaggi di Lucy e Sherlock che ad aggiungere particolari inerenti alla trama trasversale di Black Hammer. Fatto questo assunto, è praticamente impossibile giudicare Sherlock Frankenstein a prescindere dall’incredibile lavoro di caratterizzazione dei personaggi, di world-building, di rimandi e citazioni che la coppia Lemire-Rubin ha saputo creare in poco meno di 140 pagine. È da subito evidente come il duo si proponga di mostrare a cuor leggero il loro profondo amore per la materia: le storie di supereroi. A partire dal discorso di Doctor Star infatti, si percepisce subito il riferimento al distacco tra eroi appartenenti a differenti generazioni.
Doctor Star non può far altro che ammettere la propria natura di uomo fallibile e confessare che in passato, di fronte al pericolo, ha tentennato. Robinson è quindi per molti versi un personaggio complesso e pieno di sfumature come lo sono stati i personaggi della Bronze Age, come era lo stesso Starman del resto. Di rimando, i vecchi eroi di Spiral City non si sono concessi questo lusso e non hanno esitato a gettarsi tra le fauci dell’anti-dio mostrandosi portatori di valori puramente positivi, proprio come gli eroi della Golden Age. L’indagine è quindi un pretesto per rapportare presente e passato dei comics, generazioni di eroi passate e presenti e le varie epoche del fumetto americano. Una sorta di disamina degli 80 anni di storie che ci stiamo lasciando faticosamente alle spalle. Menzionare le citazioni di Black Hammer sarebbe però una lettura troppo superficiale anche per Sherlock Frankenstein, perché dietro questa celebrazione del genere supereroistico, Lemire dissemina tanti elementi che richiamano alle sue tematiche più care. Ritroviamo la famiglia disfunzionale, la malattia, la saggezza della vecchiaia ma sopratutto l’umanità dei personaggi è forse il suo marchio di fabbrica più distintivo. Nessun personaggio in Sherlock Frankenstein rimane cristallizzato nel tempo ma evolve fino ad acquisire una coscienza propria e liberarsi degli stereotipi del passato. Le nemesi che Lucy incontra sul suo cammino si rivelano quindi essere sempre l’opposto di ciò che si pensava all’inizio. Personaggi fragili, disillusi richiamano il percorso che hanno seguito nel fiore dei loro anni, talvolta con amarezza, altre volte con un sorriso sulle labbra.
Innegabile come gran parte del merito della riuscita di questo spin-off vada a Rubin, che in brevissimo tempo costruisce mattone per mattone una dimensione di Black Hammer che non esisteva prima. Il tratto cartoonesco del galiziano si sposa alla perfezione con i continui rimandi alla Golden Age. Il segno pulito e deciso rispecchia alla perfezione l’ideale Kirbiano dell’alba degli eroi e, proprio come Kirby, il suo disegno non è elementare o abbozzato, anzi. Le sue tavole sono piene di dettagli, easter-egg persino, se si pensa a tutte le volte in cui ha inserito riferimenti all’altro suo grande lavoro per Dark Horse (Ether con Matt Kindt). Non mancano elementi tipicamente Lovercraftiani, così come non mancano character design che omaggiano palesemente i pilastri del genere supereroistico: Capitan America, Batman, Superman, Doc Savage (o Tom Strong se preferite). La composizione della tavola è sempre studiata in ogni sua inquadratura, in ogni campo e controcampo, in ogni passaggio ed è inutile girarci attorno: è una gioia per gli occhi. Lo story-telling è sicuramente dove il disegnatore dimostra di avere davvero qualcosa in più risposto al buon Dean Ormston. Partendo dalla splash della prigione nel primo numero, passando per l’utilizzo delle onomatopee nel numero di Cthu-Lou, per arrivare in fine alle pagine intere del numero conclusivo, Rubin utilizza ogni elemento a sua disposizione per far immergere ancora di più il lettore nell’atmosfera della storia.
Grande valore aggiunto è la colorazione (gestita da Kike J.Diaz per le tinte piatte) che Rubin ha migliorato drasticamente da quando lavora a progetti oltreoceano. Il passaggio al digitale dal secondo numero in poi non ha inciso sul tratto, quanto sulla colorazione che si carica sempre più di toni caldi e tonalità fluorescenti. Queste donano spessore al tratto di Rubin e riportano il lettore ad atmosfere fantastiche e surreali.
In chiusura vi dico già da ora che se cercate la grande rivelazione di Black Hammer o quanto meno del suo mistero, probabilmente potreste rimanere a bocca asciutta. Tuttavia difficilmente penso che vi pentirete di aver acquistato questo volume per la bellezza e l’amore per il genere che trasudano da questa pagine. Tra l’altro l’edizione Bao Publishing contiene un fottio di pagine extra con bozzetti, studi e matite di Rubin che sono assolutamente gradite.
To put it simply
Sherlock Frankenstein & La legione del male
- Autori: Jeff Lemire(testi), David Rubin(disegni)
- Casa Editrice: Bao Publishing
- Genere: Supereroico
- Provenienza: USA
- Prezzo: € 18,00, pp. 152 col, Cartonato 17 X 26
- Data di pubblicazione: 14/06/2018